Verbale di mediazione in caso di rifiuto a proseguire oltre il primo incontro: “non vedo, non sento, non parlo” o qualcos’altro?

12/01/2017
Verbale di mediazione in caso di rifiuto a proseguire oltre il primo incontro: “non vedo, non sento, non parlo” o qualcos’altro?

Se c’è rifiuto a proseguire nella mediazione (obbligatoria per legge o iussu judici) oltre il primo incontro, il verbale (in ottemperanza all’obbligo della riservatezza) si deve limitare ad un del tutto asettico “accordo raggiunto”/“accordo non raggiunto” o le dichiarazioni delle parti possono/devono essere riportate in esso?

“Il procedimento di mediazione è improntato alla riservatezza il che sta a significare che al fine di consentire l'effettiva possibilità delle parti di poter parlare liberamente senza la remora che eventuali dichiarazioni a sé sfavorevoli possano essere utilizzate nella causa, non si devono verbalizzare (da parte del mediatore) né possono essere propalate da chiunque (compresi gli avvocati delle parti) tali dichiarazioni, che neppure possono essere oggetto di testimonianza et similia... .

“Occorre però perimetrare con esattezza giuridica tale principio.

“Che, in primo luogo, non vale, per espressa disposizione di legge (art. 9 cit.) contro la volontà della parte dichiarante

“Inoltre, per coerenza logico-giuridica con quanto testé osservato a proposito della tutela della libertà di dialogo che va garantita alle parti, il principio relativo alla riservatezza delle dichiarazioni delle parti deve essere riferito al solo contenuto sostanziale dell'incontro di mediazione, vale a dire al merito della lite.

“Ogni qualvolta, invece, tali dichiarazioni, quand'anche trasposte al di fuori del procedimento di mediazione, riguardano circostanze che attengono alle modalità della partecipazione delle parti alla mediazione e allo svolgimento (in senso procedimentale) della stessa, va predicata la assoluta liceità della verbalizzazione e dell'utilizzo da parte di chicchessia.

“Ed invero, in tale ambito una compiuta verbalizzazione è necessaria al fine di consentire al giudice la conoscenza del contenuto della condotta delle parti nello specifico contesto di cui trattasi; conoscenza indispensabile in relazione alle previsioni del decr.lgsl. 28/2010 relative alla procedibilità delle domande ed all'art. 8 co. 4 bis dello stesso decreto, nonché, in via generale, dell'art. 96 III° cpc .

“Sarebbe infatti un'assoluta aporia prevedere da una parte che il giudice debba e possa sanzionare la mancata o irrituale partecipazione delle parti al procedimento di mediazione e per contro precludergli la conoscenza e la valutazione degli elementi fattuali che tale ritualità o meno integrano.

“Per la medesima ragione, deve essere verbalizzata dal mediatore la risposta di ciascuna delle parti interpellate alla fatidica domanda (del mediatore) sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione (art. 8 co. I° quinto periodo decr.lgsl.28/2010)

“A tale proposito, oltre alla dichiarazione consistente nella risposta alla predetta domanda, è necessario e doveroso che venga verbalizzata la ragione del rifiuto a proseguire nella mediazione vera e propria.

“Ciò, sempre che la parte dichiarante la esponga e chieda la relativa verbalizzazione (peraltro nell'ambito delle attività del mediatore, sarebbe buona prassi degli organismi fornire alle parti, oltre le informazioni che la legge prevede, quelle relative allo stato della giurisprudenza sulle questioni più rilevanti e di interesse in tema di mediazione).

“Come si vedrà in prosieguo, la ragione del non voler proseguire oltre l'incontro informativo non è affatto irrilevante per la parte.

“E se, di sicuro, il mediatore non è tenuto a richiedere ad essa la ragione di tale rifiuto, neppure può esimersi dalla relativa verbalizzazione, ove richiesta dall'avente diritto.

“Ed invero ogni parte può esonerare il mediatore dall'obbligo di riservatezza relativamente alle sue dichiarazioni (cfr. art. 9 della legge).

“Ciò assume specifico rilievo nel caso in cui, come quello in esame, la dichiarazione abbia notevole rilevanza nel contesto delle varie norme che disciplinano il procedimento di mediazione.

“Conclusivamente, il mediatore deve trascrivere ogni circostanza - quand'anche consistente in dichiarazioni delle parti - utile a consentire (al giudice) le valutazioni di competenza, altrimenti impossibili, attinenti alla partecipazione (o meno) delle parti al procedimento di mediazione ed allo svolgimento dello stesso, come pure le circostanze che attengono al primo incontro informativo. In relazione al quale la parte che rifiuta di proseguire può esporne la ragione chiedendo che venga trascritta, con il correlativo obbligo del mediatore di verbalizzarla.

“Il mediatore non è né un collaboratore del giudice né un suo ausiliario, ma lo schema della legge prevede, in sommo grado nella mediazione demandata, una serie di link che non possono essere ignorati fra il procedimento di mediazione e la causa”.

Tribunale di Roma, sezione XIII, Dr. Massimo Moriconi, 25.1.2016

“ Ritenuto … che nella prassi non sempre il primo incontro ha un contenuto limitato all’ informativa alle parti, ma accade che lo svolgimento del primo incontro abbia uno sviluppo del tutto simile ad una mediazione vera e propria, con esposizione di posizioni negoziali, incontri separati e ricerca di una composizione amichevole del conflitto. Considerato che in caso di incontro meramente informativo non potrà dirsi svolta la mediazione attiva così come disposta nella presente ordinanza e, conseguentemente, non potrà nemmeno essere realizzata la condizione di procedibilità. Diventa in tal caso necessario che il mediatore non si limiti a verbalizzare quali soggetti sono presenti e con quali poteri – il che è doveroso sempre - ma verbalizzi anche quale parte dichiari di non voler o poter proseguire la mediazione e quali siano gli ostacoli oggettivi che impediscono la prosecuzione della mediazione;

“ Considerato che se il primo incontro avrà, per contro, uno svolgimento che si sostanzia in una mediazione vera e propria, la condizione di procedibilità potrà dirsi avverata. Sarà pertanto necessario che il mediatore con la sua verbalizzazione consenta di comprendere quale mediazione ha svolto nel primo incontro. Solo in questo modo il magistrato sarà messo in condizione di valutare se la condizione di procedibilità si è avverata e adottare le conseguenti determinazioni processuali”.

Tribunale di Pavia, dr. Giorgio Marzocchi, ordinanza del 26.9.2016

Secondo l’ordinanza del magistrato capitolino il mediatore deve verbalizzare chi intende proseguire oltre il primo incontro e chi si oppone; può, anzi deve, verbalizzare la dichiarazione della parte sui motivi del rifiuto, se questa lo richiede. Il giudice patavino, invece, non esplicita la richiesta della parte, quale condizione per la verbalizzazione; inoltre, se nel primo incontro il mediatore pone in essere un’attività simile ad una vera mediazione (analisi delle posizioni negoziali, sessioni separate, ricerca di composizione amichevole del conflitto), la condizione obbligatoria di procedibilità può considerarsi avverata ed il giudice deve esserne messo a conoscenza.

Le ordinanze sopra richiamate si focalizzano su uno dei problemi principali della mediazione “all’ italiana”: rapporto tra obbligo di riservatezza per chi partecipa alla procedura e legami mediazione-processo.

Secondo la dottrina anglossassone, che ha più profondamente analizzato l’istituto negli ultimi cinquant’anni, la “mediation” è una procedura di risoluzione dei conflitti al di fuori del processo con le seguenti caratteristiche:

volontaria;
nella disponibilità delle parti;
con accordo raggiunto dalle parti stesse;
senza rapporti con il processo;
gestita da un tecnico neutrale, esperto in tecniche di comunicazione;
senza la presenza obbligatoria degli avvocati, assistenti le parti;
focalizzata sugli interessi e non sui diritti (ma all’ "ombra" di questi ultimi).

La procedura di mediazione amministrata, in Italia, invece:

in molte materie è condizione obbligatoria di procedibilità;
è scarsamente nella disponibilità delle parti;
la proposta di accordo può essere formulata dal mediatore, senza richiesta delle parti (addirittura, assente una o più delle parti, D.M. 180/2010, art. 7, c.2 lett. b; mediazione “in contumacia” !!! );
ha rapporti con il processo (le è stata riconosciuta funzione paragiurisdizionale, Ministero della Giustizia 5.11.2013);
vede la presenza obbligatoria degli avvocati;
se continua ad essere focalizzata sugli interessi lo si deve solo alla bravura (e caparbietà) del mediatore.

Per cui, “ Non chiamatela mediazione ! ”.

La mediazione, inoltre, inizia con il deposito della domanda presso l’organismo di mediazione e termina con il verbale: esito positivo/negativo. Tutto ciò che è successo nel durante rimane riservato. Un eventuale accordo scritto tra le parti viene redatto su documento separato dal verbale.

Nella procedura “all’italiana”, invece, la mediazione

prima versione del D.Lgs. 28/2010, iniziava con il deposito della domanda e finiva con la redazione del verbale; obbligo della riservatezza; non ben chiaro se testo dell’accordo e verbale dovessero essere separati o confluire in un unico documento;
versione corretta dal Decreto del Fare (D.L. 69/2013), convertito con modifiche nella L. 98/2013:

Art. 8, Procedimento - 1. “All'atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all'altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. ….”.

Art. 9, Dovere di riservatezza - 1. “Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell'organismo o comunque nell'ambito del procedimento di mediazione è tenuto all'obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo”.

Per cui, il deposito della domanda di mediazione presso l’organismo (e la sua comunicazione alle altre parti) comporta alcune conseguenze giuridiche ma la procedura di mediazione obbligatoria -in base alla lettera della legge- inizia dopo che nel primo incontro, su invito del mediatore, le parti ed i loro avvocati si sono espressi sulla possibilità di avviarla (e da quel momento da obbligatoria diviene volontaria). L’obbligo della riservatezza opera solo dopo che la mediazione è iniziata.

Il mediatore, quindi, non viola tale obbligo se riporta le dichiarazioni delle parti effettuate prima che queste e gli avvocati, che le assistono, si siano espressi sulla possibilità di iniziare (anche se il primo incontro si svolge in … più incontri, come a volte accade).

Se la parte, o le parti, sono consenzienti nulla quaestio.

Se invece non lo sono, sorge un problema di opportunità. Sarà premura del mediatore, richiamando la normativa e sempre sottolineando la sua posizione di terzietà, individuare insieme alle parti gli “ostacoli oggettivi” che impediscono l’inizio della procedura e riportarli nel verbale. Ma molto spesso (soprattutto se la parte è una banca o una compagnia di assicurazione) gli “ostacoli oggettivi” si riducono a mere petizioni di principio, senza alcun riferimento al merito della controversia; in pratica, una ripetizione cantilenante di “non siamo interessati a proseguire”, “non siamo interessati a proseguire” e nulla di più.

Escluderei poi che gli sforzi profusi dal mediatore nel primo incontro per cercare di convincere le parti a proseguire possano “sostanziarsi in una mediazione vera e propria, -e che- la condizione di procedibilità potrà dirsi avverata”. La mediazione inizia -ripeto, in base alla lettera della legge- solo dopo dichiarazione espressa di volontà delle parti e degli avvocati che le assistono.

Quanto sopra è un “minestrone” poco digeribile, frutto di una normativa non lineare, che ha dovuto tener conto di “posizioni negoziali” molto differenziate. Si spera che i suggerimenti della Commissione ministeriale Alpa, ed il successivo intervento parlamentare, la migliorino.