Mediare senza confini: tra realtà e opportunità
06/12/2016
Mediare senza confini: tra realtà e opportunità
A distanza di circa sei anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 28/2010 e, quindi, dall’introduzione all’interno del nostro sistema giuridico della mediazione civile e commerciale, è tempo di fare alcune riflessioni e trarre le prime conclusioni.
Cosa è cambiato in Italia dopo l’introduzione della mediazione civile e commerciale? È veramente migliorato lo stato di salute del pianeta giustizia? È veramente diminuito il tasso di conflittualità? Sono migliorate le relazioni sociali e, per effetto di esse, anche il sistema economico in cui muoviamo i nostri passi? È stata accolta e metabolizzata dagli addetti ai lavori e dalla società civile una sana cultura della mediazione da contrapporre alla imperante e dilagante cultura del conflitto? Ho sempre creduto e credo nella mediazione quale strumento di risoluzione delle conflittualità. Ho sempre creduto e credo che la mediazione non rappresenti soltanto uno strumento di risoluzione delle controversie da confinare e relegare in un ambito giuridico, ma che, in realtà, essa rappresenti molto di più. La mediazione è cultura; la mediazione è un metodo, un modo diverso di approcciare la vita e le relazioni sociali. Da questa prospettiva e con questa consapevolezza è facile comprendere come la mediazione abbia in sé immense potenzialità ancora da valorizzare e offrire al sistema giuridico ed economico – sociale.
Probabilmente non è stata metabolizzata in modo adeguato.Forse è giunta l’ora di pensare e vivere la mediazione in modo diverso. Forse è giunta l’ora di assumere consapevolezza che la mediazione non è soltanto uno strumento giuridico cui il legislatore ha delegato l’arduo compito di deflazionare il carico giudiziale, con cui siamo “costretti” a confrontarci in occasione di un contenzioso già esistente. Anche se solo per un attimo, cambiamo ed invertiamo la prospettiva che ci ha guidato sin qui. Solo per un attimo perché un attimo potrebbe essere più che sufficiente. Non pensiamo più alla mediazione come strumento predisposto per deflazionare il numero dei procedimenti giudiziari pendenti; non interroghiamoci più sulle sue potenzialità atte a scardinare e “guarire” un sistema giuridico affetto da un male ormai cronicizzato. Poniamoci una domanda diversa. Perché in Italia esiste un così alto tasso di conflittualità e, di conseguenza, un così elevato numero di procedimenti che invadono e affollano le aule di giustizia? Perché esistono tanti conflitti, a volte di natura bagatellare, che invadono i nostri tribunali? Se è vero, alla luce delle indicazioni e statistiche ministeriali che la mediazione ha contribuito in questi anni a ridurre il contenzioso giudiziario, è altrettanto vero come i problemi siano ancora in gran parte irrisolti.
Qualcosa non ha funzionato o ha funzionato solo in parte. In questo scenario, la mediazione presenta importanti potenzialità, tuttavia, non ancora adeguatamente valorizzate semplicemente perché, non abbiamo ancora metabolizzato una sana cultura della mediazione. Cerchiamo, dunque, di comprenderne le ragioni, riflettendo su ciò che è stato fatto, su come lo si è fatto e su quello che ancora possiamo fare, alla ricerca di spazi e campi di applicazione inesplorati, da vivere e condividere. Partiamo da qui. Non più dal numero di procedimenti pendenti ma dalla consapevolezza che in Italia esiste un altissimo tasso di conflittualità e, allo stato, domina una cultura del conflitto in contrapposizione a una cultura del dialogo e della mediazione che non favorisce, indubbiamente, il superamento dei conflitti. Iniziamo da qui, cerchiamo di non sfuggire più al conflitto; cerchiamo, invece, di comprenderne la genesi e le ragioni, storiche e antropologiche; cerchiamo di viverlo e coglierne le diverse sfumature e i molteplici punti di vista che lo animano.
Impariamo a gestire il conflitto, con metodo e consapevolezza delle dinamiche che lo governano, lungo un percorso il cui obiettivo mira alla individuazione di soluzioni condivise in grado di generare e determinare una trasformazione del conflitto. La mediazione possiede una qualità unica, quella di trasformare la qualità dell’interazione conflittuale, con il risultato di rafforzare i legami sociali nella società. Dobbiamo solo prenderne atto, impararando a negoziare e mediare; a negoziare e mediare senza confini e senza limiti. Iniziamo a parlare della mediazione e delle sue potenzialità; iniziamo a parlare della mediazione come metodo, come cultura e come strumento per gestire le conflittualità in ogni ambito associativo. Occorre farlo nelle scuole, nelle organizzazioni, nelle istituzioni, comunicando come la mediazione non sia solo uno metodo utile per la gestione e risoluzione dei conflitti già esistenti ma anche una opportunità per la prevenzione dei conflitti; uno strumento efficace per organizzare gli individui intorno ad interessi comuni, aiutando la costruzione e il consolidamento dei legami sociali.
La mediazione non attiene solo al diritto. La mediazione è molto di più. Se ci riflettiamo un attimo, ci rendiamo immediatamente conto come, in realtà, ognuno di noi si trovi nelle condizioni di mediare e negoziare ogni giorno. Mediamo e negoziamo quando dobbiamo decidere dove andare a cena o quale meta estiva scegliere per le nostre vacanze. Mediamo e negoziamo quando dobbiamo discutere di un contratto con il nostro partner commerciale. Mediamo e negoziamo quando discutiamo con il nostro collega di lavoro o con il nostro datore di lavoro su come eseguire la nostra prestazione lavorativa e quando definiamo e concordiamo il compenso connesso alla prestazione lavorativa che ci è stata affidata. Lo facciamo tutti giorni. Da autodidatta e, forse, senza la reale consapevolezza di farlo. Senza conoscere le tecniche e le dinamiche che governano una mediazione o una negoziazione e che possono aiutarci a riconoscere e utilizzare le emozioni che sentiamo e viviamo, dando loro il giusto valore. Il risultato è che spesso queste negoziazioni non sfociano in un accordo ma si trasformano in un conflitto in cui le parti, trincerandosi dietro le rispettive posizioni e interessi, non si riconoscono e finiscono per alzare una barriera che, di fatto, interrompe ogni processo di comunicazione.
Imparare a negoziare e mediare, a riconoscere le emozioni e comprendere l’altro porta con sé una grande opportunità, ovvero la capacità di generare, come sosteneva Joseph Folger, la trasformazione del conflitto. Iniziamo a guardare la mediazione da questa prospettiva. Uno strumento, un metodo da utilizzare nella vita quotidiana, senza limiti e senza confini. E così pensiamo a come la mediazione possa rivelarsi utile, ad esempio, all’interno del contesto scolastico, per affrontare, gestire e superare alcuni fenomeni ormai dilaganti come il bullismo. La divulgazione di una cultura della mediazione, da contrapporre all’imperante cultura del conflitto, può rappresentare la chiave di svolta. L’ambiente scolastico è sempre più interessato da comportamenti conflittuali che possono sfociare in dinamiche disfunzionali e patologizzanti. La mediazione può aiutare i ragazzi a sviluppare le loro capacità empatiche e a capire il punto di vista degli altri in un contesto di rispetto reciproco e condiviso, guidandoli verso una gestione positiva e serena dei conflitti. Pensiamo a come la mediazione interculturale possa rivelarsi utile per favorire l’integrazione tra soggetti di culture diverse. Ascolto, riconoscimento, comprensione possono guidare le parti verso processi di integrazione sani e costruttivi, favorendo la conoscenza reciproca di culture, valori, tradizioni, diritto e sistemi sociali in una prospettiva di interscambio e di arricchimento reciproco.
Il dialogo e il confronto improntato sulle dinamiche della mediazionerappresenta una opportunità che non può essere ignorata. Pensiamo a come la mediazione possa migliorare le conflittualità familiari. La mediazione familiare è una realtà che ha ancora ampi margini di crescita. Crisi coniugali, rapporti genitoriali, violenza sulle donne, stalking sono fenomeni che hanno un minimo comune denominatore: l’assenza o l’interruzione di processi di comunicazione e riconoscimento reciproco nelle relazioni familiari. La cultura del riconoscimento, della mediazione rappresentano una possibilità di affrontare in modo diverso queste problematiche. Non in ottica punitiva o afflittiva, ma in ottica preventiva. La cultura della mediazione e la conoscenza delle dinamiche che la governano rappresentano oggi una opportunità che non possiamo lasciarci sfuggire. Mediazione civile e commerciale, mediazione scolastica, mediazione penale, mediazione penale minorile, mediazione familiare, mediazione culturale, mediazione politica, mediazione ambientale rappresentano sono solo alcuni dei territori ad oggi, in parte, esplorati. Il viaggio è lungo, insidioso ma affascinante e ricco di opportunità. Non poniamoci né limiti, né confini.